BALCANI: SE VINCE TRUMP LA PACE E' A RISCHIO?

 Tra le analisi geopolitiche sui Balcani Occidentali reperibili sulle testate dell'area, ho trovato particolarmente interessante un articolo pubblicato su N1 BIH, che a sua volta riprende un pezzo di Andreas Ernst sul quotidiano svizzero Neue Zurcher Zeitung. Niente di particolarmente nuovo, intendiamoci, ma un buon  punto della situazione con annesso "riepilogo delle puntate precedenti".

Il punto di partenza è l'opinione di Ernst sulle possibili conseguenze, nefaste per i Balcani, di un ritorno di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti. Il pericolo non sarebbe costituito da ciò che Trump vuole fare in quell'area, ma al contrario dal suo disinteresse e dalla sua volontà di disimpegno, dal momento che quello attualmente regnante è per l'appunto un "ordine americano", fondato sugli accordi di Dayton e sulla difesa dell'indipendenza e sicurezza del Kosovo, di cui gli americani sono i principali garanti.

La "pax americana" non è però l'unico fattore di stabilità nell'area balcanica occidentale: il fragile equilibrio del dopoguerra è sembrato per alcuni anni potersi trasformare in qualcosa di più solido e duraturo perchè, accanto al gendarme americano, c'erano le lusinghe dell'Unione Europea che prometteva di accogliere tutti a braccia aperte. Questo sogno, tuttavia, è finito: dopo l'entrata di Slovenia e Croazia, il processo si è arenato e oggi le dichiarazioni di massima apertura cozzano frontalmente con la realtà di Paesi lontanissimi dagli standard necessari per un rapido ingresso.

In compenso, si affacciano sulla scena attori nuovi (si fa per dire), come Russia e Cina, che si accreditano come partner economici e politici alternativi ai Paesi europei. La Serbia, che per molti anni aveva fatto dell'adesione alla UE il suo principale obiettivo, oggi tiene per lo meno i piedi in due staffe: dialoga con Bruxelles ma chiude ad ogni possibile soluzione definitiva della questione kosovara, coltivando anzi propositi di effettivo reintegro almeno del Kosovo del Nord; non aderisce a nessun pacchetto di sanzioni europeo verso la Russia, ma poi per vie traverse contribuisce ad armare l'Ucraina; si accredita come elemento di stabilità nell'area balcanica, ma incendia i nazionalisti serbi in casa e nella Republika Srpska bosniaca.

In definitiva, e ripetiamo che purtroppo in questa analisi non c'è nulla di nuovo, il timore è che senza il grande gatto americano a tenere ordine, i topi balcanici si rimettano a ballare e anche questa volta le danze si aprano a Belgrado.

qui l'articolo di N1

qui l'articolo di NZZ (in inglese)

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