SERBIA: A NOVI SAD BLOCCATA LA FACOLTÀ DI FILOSOFIA

Dopo varie settimane caratterizzate da minacce e diffamazioni nei confronti del prof. Dink Gruhonjic, giovedì scorso verso le 12 un gruppo di militanti di destra è entrato nell'edificio della facoltà di Filosofia di Novi Sad, imponendone di fatto la chiusura, motivata poi dalla preside Ivana Zivancevic Sekerus con ragioni di sicurezza. La stessa Zivancevic Sekerus si è detta stupita del poco sostegno ricevuto dai presidi di altre facoltà (solo uno oltre a lei avrebbe espresso condanna per l'occupazione e solidarietà per il prof. Gruhonjic) e ha ricordato che mai nella storia decennale della facoltà era successo qualcosa del genere. Attualmente la facoltà è ancora bloccata e gruppi di giovani manifestano all'esterno, chiedendone la riapertura. Secondo il quotidiano Danas, gli occupanti di destra non sarebbero neppure studenti. La situazione rischia ovviamente di diventare molto tesa, e questa vicenda va comunque inquadrata nel contesto di un Paese scosso da mesi di proteste contro le limitazioni alla libertà d'informazione e i presunti brogli elettorali, soprattutto a Belgrado. Il prof. Gruhonjic è stato minacciato molte volte dai nazionalisti serbi e fatto oggetto di una campagna d'odio mediatica. Sui social è circolato di recente un video in cui il professore dice di avere "un bel nome, Dinko, come Dinko Sakic". Dinko Sakic era, durante la II guerra mondiale, il comandante del campo di sterminio croato di Jasenovac, dove vennero sterminati circa 83mila serbi. Il video però estrapola completamente dal contesto la frase del professore, noto per le sue posizioni anti-nazionaliste e preso per questo spesso di mira dalla destra serba. Secondo BalkanInsight, Gruhonjic ha pronunciato quella frase rispondendo con ironia a chi lo apostrofava con un nomignolo bosgnacco, come a dire: volete montare una ridicola polemica nazionalista? Basta il mio vero nome...
Brutti, bruttissimi segnali. Un buon articolo in inglese sulla vicenda è quello di Balkaninsight.com.  Per gli aggiornamenti si consiglia di seguire il sito web di Danas. Un articolo sulla vicenda in inglese si trova anche sul sito web di Radio Free Europe.

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