IL CUORE E LA MEMORIA: RISCOPRIRE, OGGI, UN TESTO DI ABDULAH SIDRAN
Il testo di A Zvornik ho lasciato il mio cuore, raccontò Abdulah Sidran, nasce da un episodio autobiografico: il 28 marzo 1992, l'autore tornava in corriera da Belgrado a Sarajevo e si fermò per una breve sosta a Zvornik, sulla sponda bosniaca della Drina. Il tempo di offrire un bicchiere al bar a due poliziotti (uno serbo, uno bosgnacco) e una tranquilla ripartenza per Sarajevo: due giorni dopo, a Zvornik inizia il massacro, con i musulmani bosniaci stanati anche nelle cantine e nelle fogne, gli stupri, gli incendi e i saccheggi. Era la primavera in cui "le bande cetniche razziavano lungo la Drina, la risalivano e i cadaveri scendevano".
Anche Rudo, il protagonista del testo teatrale, viaggia da Belgrado a Sarajevo e fa sosta a Zvornik, ma sceglie di rimanere in città per visitare le tombe dei genitori e per dar forma ad una sua ossessione: maestro di musica e mediocre compositore, sogna da anni di scrivere una sinfonia sulla Drina. Di questo suo personaggio, durante un dialogo con Piero Del Giudice, Sidran disse: "Rudo non ha talento però è un'anima candida come un bambino [...] è un personaggio fuori dagli stereotipi, stereotipo sarebbe se seguisse la convenzione, cioè che uno che manca di talento produca il male"
Le cose precipitano rapidamente: Rudo, che non si è mai occupato di politica, non legge i giornali, non ascolta notiziari, vive di musica e trascorre le giornate a Zvornik in una stanza d'albergo con la prostituta Vera, finisce prigioniero di un'improbabile (ma assolutamente realistica) banda di cetnici e militari, fatto oggetto di un interrogatorio surreale dove gli appunti per il suo componimento musicale sono scambiati per un testo cifrato, picchiato e torturato. Infine, ormai cadavere, appeso per i piedi, viene privato del cuore, strappatogli dal petto e saltellante sul pavimento nell'ultima, farsesca scena di questa tragedia.
Il cuore, dunque, Rudo a Zvornik ce lo lascia davvero, fuor di metafora. E quante sono state le persone come lui, nel macello ex jugoslavo, in quel "non succederà mai più" successo nel cuore dell'Europa negli anni Novanta? Persone semplici, convinte di avere un posto nel mondo e un'identità, col sentimento assolutamente prepolitico di contare qualcosa, costrette da un giorno all'altro a vederselo strappato via quel sentimento. Tritate, maciullate, ridotte a membra sparse, materialmente come Rudo o metaforicamente, come tantissimi altri, in pratica tutti.
A parte quei pochi che una loro nuova identità l'hanno trovata in quel massacro: gli aguzzini, i malvagi, quelli che un cuore non lo possedevano e non lo possiedono. Sono ancora tutti lì, basterebbe guardarli in faccia e ribellarsi alle loro ragioni, alla loro fredda ragione, per fare di questo giorno un giorno di memoria.
Nel 2008 Federica Restani ha messo in scena per Ars Creazione e Spettacolo, in collaborazione col Teatro dell'Accademia di Tirana, il testo di Abdulah Sidran. Qui i dettagli e un breve video dello spettacolo
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